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Santuari non allevamenti

E’ fatta!
Finalmente possiamo dirlo.

E’ giunto il riconoscimento giuridico che attendevamo.
Per il quale abbiamo lavorato tanto.
In salita, quando di santuari ancora si parlava poco o niente.

E ci viene un po’ da piangere.
Di gioia e felicità.
Siamo commossi.
E soddisfatti.
Perché avevamo ragione.
Abbiamo sempre avuto ragione.
Fin dall’inizio.

Che i santuari esistessero, era ovvio.
Ma eravamo, nostro malgrado, intrappolati ed etichettati come allevamenti.

Da oltre 10 anni rivendichiamo invece la nostra esistenza ed essenza.
Unica e caratteristica.
La nostra preziosa specificità.
Rimarcando la distanza infinita che ci ha sempre separati dalle anguste categorizzazioni che pretendevano di definirci.
Sbagliando.
Relegandoci in un cassetto, inappropriato, in cui normativa e burocrazia ci avevano intrappolati. Castrati.
Stritolati.
Possiamo finalmente toglierci di dosso il fastidioso vestito che ci avevano affibbiato.

Non siamo allevamenti.
Non lo siamo mai stati.
Non lo saremo mai.

Inizia una nuova era.
Quella dei santuari per animali liberi.

Così nel Decreto Ministeriale del 7 marzo 2023, pubblicato lo scorso 16 maggio in Gazzetta Ufficiale leggiamo, per la prima volta, la parola “santuari”. Il Manuale Operativo, facendo riferimento al decreto legislativo 134 del 2022, elenca e descrive le diverse strutture che detengono e, nel nostro caso, ospitano, animali.
Ed è a pagina 23, precisamente al punto 12, comma 3, sottopunto C che, tra le sotto voci del “Rifugio per animali diversi da cani, gatti e furetti”,
OPLA’,
si trova e descrive il Rifugio permanente (così detto santuario) che ricovera bovini, equini, ovini, caprini, suini, ecc.
C’è proprio scritto santuario.

E’ commovente.
Tutto è capitolato.
Ed, ecco, il mondo sottosopra.
Finalmente.
Si sono arresi anche al termine.
A quanto pare.

Che dire ora?
Ci attende una manciata di giorni in sospeso prima di adeguare la banca dati.
E poi sarà possibile registrarci in una specifica area dedicata ai santuari.
Certo è ancora la banca dati nazionale degli animali così detti da reddito.
Ma attenzione.
Voilà.
Saremo nella sezione Sinac, quella degli animali da compagnia.
Un luogo irraggiungibile.
Dove solo cani gatti e furetti potevano stare.
E, invece, eccoci qui.
Con l’incredibile che diventa possibile.
L’inaudito che va in scena.

Non è tutto risolto, però.
Sarebbe troppo semplice.
Dovremo vigilare e accertarci che i decreti attuativi ci rappresentino.
Siano in grado di descrivere la bellezza dei nostri rifugi.

Sappiamo che non sarà possibile.
E che, probabilmente, saranno inadeguati.
O renderanno, solo in parte, la nostra realtà.

Ma sarà un punto di partenza.
Su cui lavorare.
E costruire.
Per tradurre in realtà quel piccolo miracolo che i santuari rappresentano.
La speranza.
Di fronte alla desolazione, tutta intorno.

Che ora, più che mai, tra la furia della natura, l’alluvione e l’efferatezza dei maltrattamenti all’ordine del giorno, mostra l’orrore inaccettabile di un sistema produttivo in rovina.
L’agonia di un mondo morente da cui occorre staccarsi e prendere sempre più le distanze.


Come siamo arrivati qui

Nel 2012 parte un percorso che ci porta al Ministero della Salute cui dichiariamo che i santuari, di fatto, esistono e non sono allevamenti, ma il loro contrario.
Inizia così un viaggio lungo e tortuoso di confronto durante il quale vengono discussi principi, proposte, opportunità, ipotesi e criticità.
Nel tempo vengono esplorate molte soluzioni, a livello regionale, a livello centrale, con l’intenzione di censire i santuari come strutture di accoglienza per animali da affezione al pari dei canili e gattili, proiettando finalmente, per la prima volta, fuori delle logiche produttive gli ospiti rifugiati e collocandoli in un differente ambito.
Sono passati parecchi anni e i nostri contenuti sono stati accolti e recepiti compiendo importanti passi verso l’obiettivo perseguito.
Da poco è stato previsto in banca dati lo status di suini Non DPA.
Ci ha dato una mano, nostro malgrado, inconsapevolmente, l’emergenza sanitaria della Peste Suina Africana.

Un enorme passo avanti si compie con l’uscita in Gazzetta Ufficiale dei decreti di recepimento del Regolamento Europeo 2016/429.
In particolare, nel Decreto legislativo 134 del 5.08.22, che detta disposizioni in materia di riorganizzazione del sistema di identificazione e registrazione degli animali e delle strutture che li ospitano, all’articolo 2, comma z, sotto comma bb, per la prima volta si parla di stabilimento (non allevamento) con orientamento produttivo NON DPA per la detenzione di animali per finalità diverse dagli usi zootecnici e dalla produzione di alimenti.
Il comma z identifica il sistema informativo nazionale degli animali da compagnia (definito SINAC) come sezione della BDN (ovvero Banca dati degli animali così detti da reddito) in cui sono registrate le informazioni relative agli animali da compagnia.


Richieste e proposte

La Rete dei Santuari ha, da sempre, l’obiettivo di ottenere il riconoscimento giuridico dei santuari stessi e l’ottenimento di uno status diverso per gli animali rifugiati in modo che non siano più “animali da reddito” ma non DPA.
Il fatto che il santuario sia equiparato e trattato dalla norma come un allevamento ha sempre posto alcuni problemi burocratici e gestionali.
Con dispendio di energie e tempo da parte dei gestori dei santuari e difficoltà dei Servizi Veterinari delle Asl e delle Asp dei vari territori, nello sforzo continuo di adeguamento a procedure spesso difficilmente attuabili su animali liberi e non contenuti in gabbie per i trattamenti o spazi confinati e soprattutto su animali che non verranno mai trasformati in cibo.
I farmaci nei santuari vengono usati col fine di curare il singolo soggetto malato e non come prevenzione generale in ottica di tutela della salute pubblica e di sicurezza degli alimenti, per il semplice motivo che questi animali non diventeranno mai alimenti.
Essi sono animali che invecchiano e contraggono malattie anche degenerative che la popolazione che transita dagli allevamenti non ha l’opportunità di manifestare perché vengono macellati in giovane età, pressoché da bambini.
Per attuare la norma spesso i veterinari pubblici devono interpretare, adattando alla realtà e caratteristiche del santuario, norme e regolamenti, derogando aspetti inapplicabili e non pertinenti.

Rimane poi un motivo significativo e sostanziale per cui desideriamo non essere considerati più allevamenti: non siamo un allevamento e anzi, siamo l’esatto contrario.
Gli animali, nei santuari, sono sterilizzati e non possono riprodursi. Non c’è compravendita né alcun profitto.
Consideriamo ogni ospite come un soggetto unico al mondo.
Gli animali non sono da reddito ma diventano, al contrario, da debito.
Quali esperienze e deroghe già in atto Esistono già diffuse deroghe informali applicate dagli organismi di controllo locali del territorio dove insistono i santuari.
Questo avviene perché chi viene a controllare ha delle difficoltà oggettive nell’applicare regolamenti e regole nate per strutture con logiche e finalità opposte a quelle dei santuari.
Ogni caso poi è a sé.
Da qualche parte non fanno i prelievi ad alcune specie, altrove ad altre, o non ordinano la marcatura ma accettano sistemi alternativi.
Nel corso degli anni, a livello locale, presso alcuni santuari, sono stati condotti alcuni progetti sperimentali sull’utilizzo proprio della microchippatura in alternativa alla marcatura degli ovi caprini.

Quali le possibili strade
Come già ampiamente sottolineato, la strada individuata è stata quella dell’estensione del doppio status (dpa e non dpa) a tutti gli animali da reddito mutuandolo da quello finora applicato agli equini.
L’istituzione di un’anagrafica specifica, dedicata, non dpa, ovvero dei “salvi” o dei “rifugiati”.
Gli animali in elenco, singolarmente identificati col microchip, non potrebbero mai più finire nell’industria alimentare. L’impianto del microchip al posto della marca auricolare definirebbe ancor di più questi animali come non più da reddito e giammai destinabili all’alimentazione.
Così, come accade per gli equini, anche la gestione del farmaco sarebbe più appropriata e adatta alle caratteristiche a finalità del santuario, optando per soluzioni che tengono conto del benessere del soggetto e non dei tempi di permanenza del preparato nelle carni o nei prodotti in cui l’animale dovrebbe essere trasformato.


Scarica il Decreto (formato .pdf)